L’indicibile

Abstract. Questo mondo non è tutto, perché è un mondo finito, contingente, sempre esposto al nulla e così, con il puro ragionamento, cerca di raggiungere l’altro mondo; è una veloce traversata che, se si conclude felicemente, raggiunge il mondo stabile, sicuro, infinito, semplice, eterno, il mondo di Dio. Egli è l’Essere in sé, la perfezione suprema, la causa ultima di ogni cosa, colui al quale tutte le cose aspirano e nel quale tutte riposano.

La fede e la teologia cristiane iniziano là dove esiste una comunità di credenti che confessa: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (Eb. 1, 1 s.) e ancora: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Questa stessa Parola, attraverso la quale Dio ha creato e conserva ogni cosa, illumina ogni uomo[1] sicché, prima ancora di parlare ad Abramo e di parlare nel Figlio, Dio ha lasciato testimonianza di sé – «poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro [i. e. agli uomini] manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute» (Rm 1, 19 s.) – nell’esperienza interiore della coscienza[2] e nella ricerca mai finita dell’io umano che continuamente si interroga nell’orizzonte dell’Assoluto: «Fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te»[3].

La problematica è davvero interessante e stimolante, offre molti spazi al dialogo e al dibattito tra la concezione analogica di sacrum e ancora la più pluralistica concezione di sacrum in fenomenologia, filosofia, teologia, mistica e cultura del sacro nel mondo contemporaneo. La fenomenologia nell’analisi dell’esperienza vissuta del sacrum accentua la parte soggettiva seguendo la lunga tradizione della filosofia del soggetto. La ricerca sul sacrum da parte della filosofia classica dell’essere dimostra il suo aspetto oggettivo. L’esperienza del sacro si riferisce a qualcosa che si analizza razionalmente o si riduce solo alla sua dimensione immanente, come nell’ateismo moderno e contemporaneo?

Rudolf Otto[4] sostiene che l’idea integrale del divino in quanto oggetto della religione non si fonda sul concetto razionale, ma sull’irrazionale e che ambedue questi elementi giocano nella nozione del sacro. L’elemento razionale postula che per avere l’idea di Dio è necessario che la divinità possa essere concepita ed espressa con qualche predicato: ragione, spirito, volontà, onnipotenza, unità, sapienza. E questi predicati, riferiti al divino, vengono pensati come assoluti, perfetti e sommi; i predicati sono concetti razionali, perciò possono essere capiti con l’analisi e possono essere definiti. Tuttavia non tutto si esaurisce con la ragione, «i predicati razionali esauriscono così poco l’idea del divino da essere persino capaci di esistere solamente a partire da un irrazionale e in ordine ad esso»[5]: nella religione il momento iniziale è sempre infatti ἀρρετόν, cioè indicibile.

Quando si tratta del santo, indichiamo certo una qualità razionale riferita alla sfera etica per la suprema bontà, ma non è questo il suo primo significato che si ritrova a un livello sottostante a tutti i significati razionali: si tratta di un elemento particolare che vive in tutte le religioni e, in tale profondità, che senza di esso nessuna religione può essere tale.

Tale elemento per Otto è il numinoso, un riflesso, un sentimento creaturale, che può essere descritto ma non definito, è il dato religioso primario e semplice, e per descriverlo l’autore usa la formula: il mistero tremendo e affascinante[6].

Mistero, ovvero ciò che causa meraviglia, mirum è lo stupore; stupirsi è uno stato d’animo che appartiene solamente alla sfera del religioso. In senso generico mistero indica qualcosa d’estraneo, che non si può concepire e non si può spiegare. È religioso perché è assolutamente stupefacente, eterogeneo, non appartiene alla vita familiare od ordinaria. Quindi il nume è qualcosa di nascosto, velato, indefinibile. L’oggetto a cui si riferisce il numinoso è essenzialmente distinto dal profano e, siccome non lo si può concepire, non lo si può nemmeno esprimere; lo si può esprimere solo negativamente: supremo, misterioso, trascendente. Lo si sente solo nel profondo dell’anima, si presenta come il completamente altro, il del tutto diverso.

Tremendo, l’oggetto numinoso si può solo sentire in quanto provoca l’impressione, un riflesso sentimentale nel profondo dell’anima. Perciò numinoso può dirsi quello che commuove l’animo in un modo o nell’altro. Se consideriamo la commozione religiosa essa appare come qualcosa di più che la fede, l’amore, la fiducia; è qualcosa di complesso, che compare in ogni manifestazione della religiosità e della solennità del culto[7]. Dalla molteplicità di forme in cui può comparire, esso si sintetizza e si riduce alla sospensione dell’animo e all’umile timore di fronte a quello che, nel mistero, è sopra le creature. La prima caratteristica del mistero tremendo è il tremore-timore: presso i popoli primitivi è terrore demoniaco, l’inquietante, nella Bibbia è l’ira di Dio, la sua collera, il suo zelo[8]. È qualcosa che spaventa, fa rizzare i capelli e tremare le labbra; Dio è presente: tutto taccia in noi e si prostri pavido al Suo cospetto[9]. Si può spiegare questo tremore con la nozione di maestà: il nume, la divinità, è assolutamente inaccessibile, così l’oggetto numinoso si può esprimere con le categorie di potenza, pre-potenza, onni-potenza; a questo carattere di onnipotenza, sia in relazione ad esso sia come riflesso e elemento soggettivo, corrisponde nella creature il senso creaturale, cioè il senso di assoluta dipendenza, del proprio nulla, di essere polvere e cenere. È il senso provato da Abramo di fronte a Jahvè, quando prega per la sorte dei Sodomiti: «Abramo riprese e disse: “Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere”» (Gn 18, 27). Appartengono quindi all’aspetto del mistero tremendo il momento del terrificante, il momento della sovrapotenza, il momento dell’energico, dell’ira. Sul piano razionale al terrore corrisponde il momento della giustizia, della rettitudine e della moralità.

Affascinante, il mistero tremendo appare come qualcosa di attraente, inebriante nel modo più sublime, accattivante. Questo doppio aspetto del tremore e del fascino, distante e attraente, appare in tutte le concezioni religiose e, come l’aspetto del tremore, appare stupefacente; l’oggetto numinoso, mistero-tremendo, appare attraente e dolcemente seducente. Così la stessa creatura, tremante di fronte al mistero, vuole congiungersi a esso, parteciparne, farlo proprio. Questo elemento irrazionale e affascinante si esprime razionalmente nei concetti di amore, misericordia e pietà, dinnanzi al quale inorridisco e da cui sono attratto.

Per Mircea Eliade[10] la prima definizione di sacro è ciò che è il contrario del profano, ove profano significa etimologicamente ciò che è di fronte alle porte del santuario, che cioè si trova fuori dell’ambito religioso e conviene quindi con ciò che oggi noi chiamiamo secolare o appartenente al mondo, il mondo costituito da comuni strutture razionali.

Questa alterità del sacro rispetto al profano intende mettere in risalto che il sacro non si trova in ciò che è naturale, ordinario, comune, ma è prerogativa divina e misteriosa di cui l’uomo può avere conoscenza solamente nella misura in cui lo stesso si manifesta nella sua differenza dal profano. Ne consegue che tale manifestazione del sacro è chiamata ierofania. L’uomo religioso, sia primitivo che delle religioni evolute, si trova sempre di fronte al fatto straordinario che il del tutto diverso, ciò che non appartiene a questo mondo, si manifesta in oggetti e situazioni di questo mondo.

«L’homme religieux assume un mode d’existence spécifique dans le monde, et, malgré le nombre considérable des formes historico-religieuses, ce mode spécifique est toujours reconnaissable. Quel que soit le contexte historique dans lequel il est plongé, l’homo religiosus croit toujours qu’il existe une réalité absolue, le sacré, qui transcende ce monde ci, mais qui s’y manifeste et, de ce fait, le sanctifie et le rend réel. Il croit que la vie a une origine sacrée et que l’existence humaine actualise toutes ses potentialités dans la mesure où elle est religieuse, c’est-à-dire: participe à la réalité. Les dieux ont créé l’homme et le Monde, les Héros civilisateurs ont achevé la Création, et l’histoire de toutes ces œuvres divines et semi-divines est conservée dans les mythes. En réactualisant l’histoire sacrée, en imitant le comportement divin, l’homme s’installe et se maintient auprès des dieux, c’est-à-dire dans le réel et le significatif»[11].

Certamente anche l’uomo primitivo sa che esiste un mondo naturale, oggetto di manipolazione tecnica, per quanto rozza possa essere, perciò nel sacro vanno distinti i due aspetti qualitativamente diversi dell’aspetto naturale e dell’aspetto dell’elevazione in quanto manifesta il divino; per esempio, venerare una pietra o un albero «il ne s’agit pas d’une vénération de la pierre ou de l’arbre en eux-mêmes. La pierre sacrée, l’arbre sacré ne sont pas adorés en tant que tels; ils ne le sont justement que parce qu’ils sont des hiérophanies, parce qu’ils montrent quelque chose qui n’est plus pierre ni arbre, mais le sacré»[12], il tutt’altro.

La natura è sacra, «pour l’homme religieux, la Nature n’est jamais exclusivement naturelle: elle est toujours chargée d’une valeur religieuse. Ceci s’explique, puisque le Cosmos est une création divine: sorti des mains des dieux, le Monde reste imprégné de sacralité. II ne s’agit pas seulement d’une sacralité communiquée par les dieux, celle, par exemple, d’un lieu ou d’un objet consacré par une présence divine. Les dieux ont fait plus: ils ont manifesté les différentes modalités du sacre dans la structure même du Monde et des phénomènes cosmiques.

Le Monde se présente telle façon qu’en le contemplant l’homme religieux découvre les multiples modes du sacré, et par conséquent de l’Etre. Avant tout, le Monde existe, il est , et il a une structure: il n’est pas un Chaos, mais un Cosmos; donc il s’impose en tant que création, en tant qu’ouvre des dieux. Cette œuvre divine garde toujours une transparence; elle dévoile spontanément les multiples aspects du sacré. Le Ciel révèle directement, naturellement la distance infinie, la transcendance du dieu. La Terre, elle aussi, est transparente: elle se présente comme mère et nourricière universelle. Les rythmes cosmiques manifestent l’ordre, l’harmonie, la permanence, la fécondité. Dans son ensemble, le Cosmos est à la fois un organisme réel, vivant et sacré: il découvre à la fois les modalités de l’Etre et de la sacralité. Ontophanie et hiérophanie se rejoignent»[13].

Perciò le ierofanie sono estremamente varie; «la comprensione di una ierofania non è ostacolata né dall’eterogeneità storica dei documenti (alcuni dei quali provengono da élites religiose, altri da masse incolte, gli uni frutto di civiltà raffinate, gli altri creazioni di società primitive, eccetera), né dalla loro eterogeneità strutturale (miti, riti, forme divine, superstizioni, eccetera). Nonostante le difficoltà pratiche, questa eterogeneità è anzi la sola cosa capace di rivelarci tutte le modalità del sacro, perché un simbolo o un mito lasciano trasparire nettamente le modalità che un rito non può manifestare, che nel rito sono soltanto implicite»[14]. Le ierofanie sono molteplici: «Dobbiamo avvezzarci ad accettare le ierofanie in qualsiasi luogo, in qualsiasi settore della vita fisiologica, economica, spirituale e sociale. In conclusione, non sappiamo se esista qualche cosa – oggetto, gesto, funzione fisiologica, essere, gioco, eccetera – che non sia stata mai trasfigurata in ierofania, in qualche parte del mondo e nel corso della storia umana. Cercare le ragioni per cui questo qualche cosa è diventato ierofania, o ha finito in un certo momento di essere tale, è questione completamente diversa. Ma è sicuro che tutto quanto l’uomo ha adoperato, sentito, incontrato o amato, poté diventare ierofania»[15].

Tutto ciò, per ritornare all’esempio della pietra e dell’albero, pone l’uomo religioso nel paradosso «que constitue toute hiérophanie, même la plus élémentaire. En manifestant le sacré, un objet quelconque devient autre chose, sans cesser d’être lui-même, car il continue de participer à son milieu cosmique environnant. Una pierre sacrée reste une pierre; apparemment (plus exactement: d’un point de vue profane) rien ne la distingue de toutes les autres pierres. Pour ceux auxquels une pierre se révèle sacrée, sa réalité immédiate se transmue au contraire en réalité surnaturelle. En d’autres termes, pour ceux qui ont une expérience religieuse, la Nature tout entière est susceptible de se révéler en tant que sacralité cosmique. Le Cosmos dans sa totalité peut devenir une hiérophanie»[16]. Se è vero dunque che qualsiasi cosa può diventare ierofania, è anche vero che nessun popolo ha accumulato tutte le ierofanie; è sempre esistita la distinzione tra sacro e profano, perché una cosa diventi ierofania deve essere sottomessa a una scelta: un oggetto diventa sacro nella misura in cui incorpora una cosa diversa da sé, questa è la dialettica della ierofania, da cui discende la tendenza dell’uomo delle comunità arcaiche a vivere nel sacro oppure in prossimità di esso, poiché solo il sacro è potenza e realtà, il profano è uguale a irrealtà e pseudo-realtà.

L’uomo viene visto in relazione al sacro, l’uomo arcaico vede da un lato il profano e dall’altro il sacro; vede e osserva il tenebroso e mortale profano e d’altro canto percepisce il reale, l’essere, il luminoso, l’immortale, l’eterno. In tutte le religioni c’è la tendenza e la profonda aspirazione ad attingere divinità, a partecipare alla vita spirituale, eterna, immortale. Questa tendenza, in ultima analisi, aspira alla visione di Dio, al quale tende la religione ogni volta che l’uomo, percependo la propria debolezza e instabilità da un lato e dall’altro il sacro, cioè la vita, vuole esistere in modo permanente e vuole partecipare alla vita eterna. Tale weltanschauung dell’uomo pre-moderno fonda un modo di essere nel mondo diverso da quello moderno. «Nous l’avons déjà dit: pour l’homme religieux, la Nature n’est jamais exclusivement naturelle. L’expérience d’une Nature radicalement désacralisée est une découverte récente; encore n’est-elle accessible qu’à une minorité des sociétés modernes, et en premier lieu aux hommes de science. Pour le reste, la Nature présente encore un charme, un mystère, une majesté, où l’on peut déchiffrer les traces des anciennes valeurs religieuses. Il n’y a pas d’homme moderne, quel que soit le degré de son irréligion, qui ne soit sensible aux charmes de la Nature»[17].

Il problema però rimane: «l’homme moderne areligieux assume une nouvelle situation existentielle: il se reconnait uniquement sujet et agent de l’histoire, et il refuse tout appel à la transcendance. Autrement dit: il n’accepte aucun modèle d’humanité en dehors de la condition humaine, telle qu’elle se laisse déchiffrer dans les diverses situations historiques. L’homme se fait lui-même, et il n’arrive à se faire complètement que dans la mesure où il se désacralise et désacralise le monde. Le sacré est l’obstacle par excellence devant sa liberté. Il ne deviendra lui-même qu’au moment où il sera radicalement démystifié. Il ne sera vraiment libre qu’au moment où il aura tué le dernier dieu»[18].

L’uomo moderno vede il mondo ordinato scientificamente e, scoprendo nella scienza l’ordine e la sussistenza naturale, non cerca l’ultimo intelligibile di cui lo scienziato non ha bisogno, l’uomo moderno è cioè soddisfatto del profano e resta nel profano senza curarsi della necessità del sacro e quindi non sembra che egli senta la stessa aspirazione dell’uomo primitivo. Tuttavia l’uomo moderno manifesta la sua religiosità in modo diverso; per questo la conclusione che si trae è che la morfologia dell’uomo moderno è diversa da quella dell’uomo primitivo, quando si tratta di trovare il sacro e l’aspirazione religiosa. Secondo Mircea Eliade anche l’ateo è implicitamente conscio di dipendere dal sacro in quanto non esistono uomini assolutamente a-religiosi, poiché i sistemi ateistici prendono il posto della religione: «quella di fronte al sacro può essere solo una fuga, non una negazione»[19].

Ludovico Allegretti

ludovico.allegretti@unisanpaolo.org

16 febbraio 2022

[1] Cfr. Gv 1, 1-3. 9: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste […] Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo».

[2] Cfr. Rm 2, 14 s.: «Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono secondo la Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono».

[3] Aurelius Augustinus, Confessionum libri XIII, 1, 1, 1.

[4] Rudolf Otto (1869 – 1937) è stato un teologo e storico delle religioni tedesco, il cui pensiero è alla base della filosofia della religione, della psicologia della religione, della sociologia della religione e degli sviluppi più moderni della teologia cristiana. Pastore luterano, insegnò teologia a Gottinga (1897), Breslavia (1914) e Marburgo (1929), e fu deputato dal 1913 al 1921. Nel 1911, dopo un soggiorno in India, la ricerca di Otto volge verso lo studio comparato delle religioni. Nel 1917 pubblica la sua opera più importante, Das Heilige. Über das Irrationale in der Idee des Göttlichen und sein Verhältnis zum Rationalen (Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione col razionale), dove distingue gli elementi razionali e morali del sacro (tipici della religione moderna e del cristianesimo in particolare) da quelli irrazionali.

[5] R. Otto, Il sacro, Brescia 2011, p. 28.

[6] Cfr. ibidem, pp. 31-79.

[7] Esempio sia la vocazione profetica di Isaia; Is. 6: «Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: “Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria”. Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti”. Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato”. Poi io udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. E io risposi: “Eccomi, manda me!”. Egli disse: “Va’ e riferisci a questo popolo: ‘Ascoltate pure, ma non comprenderete, osservate pure, ma non conoscerete’. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendilo duro d’orecchio e acceca i suoi occhi, e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da essere guarito”. Io dissi: “Fino a quando, Signore?”. Egli rispose: “Fino a quando le città non siano devastate, senza abitanti, le case senza uomini e la campagna resti deserta e desolata”. Il Signore scaccerà la gente e grande sarà l’abbandono nella terra. Ne rimarrà una decima parte, ma sarà ancora preda della distruzione come una quercia e come un terebinto, di cui alla caduta resta il ceppo: seme santo il suo ceppo».

[8] Cfr. Es. 23, 27: «Manderò il mio terrore davanti a te e metterò in rotta ogni popolo in mezzo al quale entrerai; farò voltare le spalle a tutti i tuoi nemici davanti a te»; Gb 9, 34: «Allontani da me la sua verga, che non mi spaventi il suo terrore»; 13, 21: «allontana da me la tua mano e il tuo terrore più non mi spaventi».

[9] Cfr. Gb 26 s.: «Giobbe prese a dire: “Che aiuto hai dato al debole e che soccorso hai prestato al braccio senza forza! Quanti consigli hai dato all’ignorante, e con quanta abbondanza hai manifestato la saggezza! A chi hai rivolto le tue parole e l’ispirazione da chi ti è venuta? Le ombre dei morti tremano sotto le acque e i loro abitanti. Davanti a lui nudo è il regno dei morti e senza velo è l’abisso. Egli distende il cielo sopra il vuoto, sospende la terra sopra il nulla. Rinchiude le acque dentro le nubi e la nuvola non si squarcia sotto il loro peso. Copre la vista del suo trono stendendovi sopra la sua nuvola. Ha tracciato un cerchio sulle acque, sino al confine tra la luce e le tenebre. Le colonne del cielo si scuotono, alla sua minaccia sono prese da terrore. Con forza agita il mare e con astuzia abbatte Raab. Al suo soffio si rasserenano i cieli, la sua mano trafigge il serpente tortuoso. Ecco, questi sono solo i contorni delle sue opere; quanto lieve è il sussurro che ne percepiamo! Ma il tuono della sua potenza chi può comprenderlo?”. Giobbe continuò il suo discorso dicendo: “Per la vita di Dio, che mi ha privato del mio diritto, per l’Onnipotente che mi ha amareggiato l’animo, finché ci sarà in me un soffio di vita, e l’alito di Dio nelle mie narici, mai le mie labbra diranno falsità e mai la mia lingua mormorerà menzogna! Lontano da me darvi ragione; fino alla morte non rinuncerò alla mia integrità. Mi terrò saldo nella mia giustizia senza cedere, la mia coscienza non mi rimprovera nessuno dei miei giorni. Sia trattato come reo il mio nemico e il mio avversario come un ingiusto. Che cosa infatti può sperare l’empio, quando finirà, quando Dio gli toglierà la vita? Ascolterà forse Dio il suo grido, quando la sventura piomberà su di lui? Troverà forse il suo conforto nell’Onnipotente? Potrà invocare Dio in ogni momento? Io vi istruirò sul potere di Dio, non vi nasconderò i pensieri dell’Onnipotente. Ecco, voi tutti lo vedete bene: perché dunque vi perdete in cose vane? Questa è la sorte che Dio riserva all’uomo malvagio, l’eredità che i violenti ricevono dall’Onnipotente. Se ha molti figli, saranno destinati alla spada e i suoi discendenti non avranno pane da sfamarsi; i suoi superstiti saranno sepolti dalla peste e le loro vedove non potranno fare lamento. Se ammassa argento come la polvere e ammucchia vestiti come fango, egli li prepara, ma il giusto li indosserà, e l’argento lo erediterà l’innocente. Ha costruito la casa come una tela di ragno e come una capanna fatta da un guardiano. Si corica ricco, ma per l’ultima volta, quando apre gli occhi, non avrà più nulla. Come acque il terrore lo assale, di notte se lo rapisce l’uragano; il vento d’oriente lo solleva e se ne va, lo sradica dalla sua dimora, lo bersaglia senza pietà ed egli tenterà di sfuggire alla sua presa. Si battono le mani contro di lui e si fischia di scherno su di lui ovunque si trovi”».

[10] Mircea Eliade (1907-1986), nato a Bucarest, ha vissuto in India dal 1928 al 1932 e ha insegnato filosofia all’Università di Bucarest dal 1933 al 1940. Addetto culturale a Londra e poi a Lisbona, nel 1945 viene nominato professore presso l’École des Hautes Études a Parigi. Ha insegnato alla Sorbona e in diverse università europee. Dal 1957 è stato titolare della cattedra di Storia delle Religioni dell’Università di Chicago, dove nel 1985 è stata istituita la cattedra Mircea Eliade a lui dedicata.

[11] M. Eliade, Le sacré et le profane, Paris 1957, pp. 171 s.

[12] Ibidem, p. 17.

[13] Ibidem, pp. 101 s.

[14] Idem, Trattato di storia delle religioni, Torino 1986, pp. 12 s.

[15] Ibidem, p. 15.

[16] Eliade, Le sacré…, p. 18.

[17] Ibidem, p. 131.

[18] Ibidem, p. 172.

[19] A. Ales Bello, Il senso del sacro. Dall’arcaicità alla desacralizzazione, Roma 2017 (edizione digitale), p. 100.